La Repubblica
Così Mara racconta
la sua fatica di crescere.
di Silvana Mazzocchi
Una ricerca di se stessi, spesso contraddittoria e mai del tutto esente dal dolore, che porta all’approdo solo quando si arriva davvero ad ascoltare la propria natura, contro ogni conformismo e senza cedere alle lusinghe delle gabbie culturali che condizionano e spingono all’omologazione.
Mara, bambina anomala e diversa rispetto alle sue coetanee, diventa un’adolescente fragile e inquieta, quindi una giovane donna in fuga verso la città. Lascia la sua casa e il mare per affermarsi e, allontanandosi dal suo paese e dalla sua famiglia, spezza il filo del suo destino di ragazza di provincia, imponendo la sua volontà come segnale impellente di emancipazione. Uno strappo perfettamente in linea con le scelte femminili della sua generazione ma, a sorpresa, solo punto di partenza per imboccare finalmente il percorso a lei più consono. Mara si cerca, si accetta finalmente e può dunque ricostruirsi, attraverso la scoperta di ciò che veramente ha senso e importanza per lei, a partire dalla natura e dal mare, elementi essenziali alla sua esistenza. Fino a riconquistare identità e radici. E a ritornare al suo paese, con la consapevolezza della maturità. Retromarcia solo apparente e invece, a dispetto di ogni inganno, autentica emancipazione personale,
Con una scrittura ricca e a tratti sontuosa, con Il resto del giorno Laura Lauzzana ci offre una storia esemplare, tessuta di emozioni e sentimenti e in cui ciascuno può ritrovare quell’elemento misterioso e contraddittorio che segna la vita di tutti; primaria necessità troppo spesso soffocata da una quotidianità cieca e sorda rispetto alle nostre esigenze più intime.
Disobbedire, tornare indietro; Mara spezza comunque il filo del suo destino. Perché “Il resto del giorno”?
La protagonista del libro riassume nella sua crescita la lotta che un individuo deve ingaggiare con la propria esistenza. A cominciare da quelle relazioni date e non scelte che sono i legami familiari e parentali. Se all’inizio Mara subisce, poi costruisce lentamente una propria consapevolezza, che si fa liberatoria a partire dall’accettazione della diversità da cui si sente marchiata. L’essere diversi, che prima Mara assume come propria colpa e motivo delle relazioni malate con le persone, offre la possibilità di scoprire un proprio modo di reagire a ciò che sembra non avere un senso, a ciò che ammorba le relazioni umane anche più intime. Paradossalmente scopre, nella propria marginalità, un’opportunità di riscatto. Da qui il titolo del libro, che in realtà ha più significati. Oltre all’ovvio, che è ciò che rimane del giorno trascorso, il fare le somme con se stessi, l’essenza del titolo sta in quel resto che rimane nascosto, segreto, rimosso in una dimensione parallela all’agire quotidiano. Mi riferisco alle cose non dette o non dicibili, a come in quell’assenza da una parte si scavano paure individuali e incomprensioni nelle relazioni con gli altri, dall’altra si possono creare mondi segreti. Ma il titolo ingloba anche un altro significato. Mentre i giorni trascorrono, e ci si ritrova nella morsa delle incombenze quotidiane, la vita fugge, e ci si chiede: Oddio, dov’è il resto? Le aspirazioni e i sogni di un tempo?
Lei si è occupata di dinamiche dell’immigrazione. Mara sceglie le proprie radici. Quanta realtà c’è nel suo romanzo?
Con le dovute distinzioni, si può dire che Mara un po’ condivida l’estraniamento e quindi la necessità di una ricerca di senso che investe la vita di ogni immigrato, soprattutto di prima generazione. Ma vi è una principale differenza. Gli immigrati, o migranti, si ritrovano in un luogo “altro”, e in reazione a questa alterità si crea il conflitto tra la necessità di adattamento e la volontà di far rivivere le proprie appartenenze culturali, religiose e sociali. Si tratta di un fenomeno sociale per cui queste persone si ritrovano senza radici.
Nel caso di Mara, si tratta di un’estraneità in termini esistenzialistici: il sentirsi stranieri e marginali rispetto all’esistenza stessa. La ricerca di un senso conduce Mara a tornare al luogo dell’infanzia – ciò che manca all’immigrato – perché lì si è condensato il tempo dell’incanto con segni visibili solo a lei.
La storia di Mara scorre negli anni; nel tempo cambia la sua terra, la società. Qual é il cammino di Mara?
La storia di Mara può essere letta come una rivendicazione in due sensi. Il primo, quello più intimo ed esemplare, riguarda il riscatto dell’infanzia sull’adultità. La bambina, nonostante le difficoltà, con gli occhi dell’incanto scopre del mondo cose che gli adulti non riescono più a vedere o per cui non riescono più ad emozionarsi. L’accento del libro su quel periodo della vita in cui le sensazioni sono amplificate sta nel voler dilatare il tempo stesso, sospenderlo dalle occupazioni proprie dei “grandi”.
Da adulta, Mara riconoscerà la superiorità dell’infanzia e si ritirerà in quel rapporto con la natura sviluppato appunto da piccola. Qui trova una saggezza nella contemplazione della propria finitezza che però confluisce in un ciclo eterno, ricordato dalla forza delle stagioni.
Questo ci porta a riconoscere nella protagonista anche una rivendicazione dell’individuo sulla società massificata. Nella fuga dalle metropoli, nella ricerca di solitudine, Mara si sottrae alle distrazioni offerte dalla società che vorrebbero cancellare quello spaesamento e quel sottofondo doloroso dell’esistenza. L’accettazione di Mara di guardare in faccia la solitudine diventa invece salvezza, spogliandosi di falsi bisogni e della necessità di consumare.